Per una buona educazione digitale
Una buona educazione digitale inizia dall'autoeducazione del genitore

Fine 2022, partecipo ad una interessante conferenza sull’adolescenza, nella quale si intervallano un buon relatore ed esibizioni spettacolari di studenti delle scuole superiori. La mia tirocinante, seduta al mio fianco, mi fa notare che l’insegnante seduta davanti a lei non ha mollato un attimo il telefono, ha fatto shopping di abbigliamento, ha prenotato una vacanza in Spagna, ha chattato…
Un’altra insegnante, durante una riunione in cui ci confrontiamo sulle difficoltà degli adolescenti, esprime un pensiero che incontro spesso fra gli adulti: “i ragazzi non sanno gestire la tecnologia, per noi è diverso, perchè conosciamo il mondo prima dello smartphone”. Lo dice con il telefono appoggiato sulle ginocchia. Ne siamo davvero sicuri? Noi adulti siamo davvero capaci di gestire la tecnologia, mentre i ragazzi non lo sono? Io non credo proprio, ci stiamo raccontando una bugia, in realtà anche noi adulti siamo invasi dal mondo digitale e fatichiamo a mettere dei confini, ma è più comodo pensare che il problema sia dei nostri figli.
Per questo motivo fra i vari interventi educativi e preventivi che si possono mettere in atto per un’educazione digitale propongo di mettere al primo posto l’autoeducazione dell’adulto, in particolare del genitore, ma anche dell’insegnante e delle altre figure che svolgono un ruolo educativo. Gli assunti di base sono banali quanto fondamentali: nella prima infanzia i bambini apprendono principalmente per imitazione e dalla preadolescenza in poi, giustamente, non sono disposti a seguire chi predica bene e razzola male, chiedono adulti coerenti, che mettono in atto i comportamenti che richiedono loro. Il comportamento genitoriale inoltre dà l’impronta ad uno stile di vita familiare: dialogo, attenzione, ascolto, condivisione o ripiegamento sul proprio dispositivo digitale. Sono molti i genitori interessati a formarsi sull’educazione digitale dei figli, ma ben pochi quelli disposti a mettere in discussione il proprio uso della tecnologia. Per il genitore è più facile allarmarsi per il figlio che abusa del cellulare piuttosto che per se stesso quando il proprio bambino lo guarda implorante chiedendogli “mamma, quando ti parlo ascoltami con gli occhi”. Teniamo presente che la prima grande perdita di un neonato è lo sguardo della madre mentre allatta, quello sguardo di ammirazione per il capolavoro che ha messo al mondo oggi è spesso rivolto al cellulare. E subito dopo, a 1/2 anni, chi gli mette in mano un cellulare per calmarlo, distrarlo, impegnarlo?
Cambiare rotta è scomodo. È difficile. Comprendo. Ma è necessario.
Quando provo a portare la necessità di questo cambiamento, della riduzione del nostro uso della tecnologia, incontro qualche orecchio attento, ma per lo più trovo un muro unanime e compatto con una risposta solida e convinta: “lo smartphone (in particolare il discorso esce su Whatsapp) è tanto comodo”, salvo poi ritrovarsi a perdere continuamente informazioni per l’overdose di messaggi ricevuti. Recentemente ho assistito al rientro in servizio di tirocinanti e volontarie civili dal porta a porta, con questa buona notizia: “ormai le persone non leggono più mail e simili perchè ne ricevono troppi, invece il contatto diretto di persona funziona!”.
Cosa sto proponendo concretamente? Non penso che la tecnologia sia un male da debellare e non propongo il ritorno all’età della pietra. Propongo invece di sviluppare consapevolezza e di imparare a dominare lo strumento digitale, affinchè non sia lui a dominare noi.
Come? Sto tentando, assieme ad alcune colleghe che da oltre un anno hanno iniziato questo percorso, alcune piccole azioni accompagnate da tante riflessioni. Quando esco di casa mi chiedo se il telefono mi servirà e talvolta lo lascio a casa, in casa invece lo tengo in un posto fisso. Teniamo presente che ci sono adulti che si spostano per la casa portando con sè il telefono, sul tavolo dove mangiano, in bagno, in camera da letto… Riduco ciò che passa dal telefono, ad esempio utilizzo le mail solo da computer e utilizzo pochissime app. Su Whatsapp rispondo solo per necessità nei gruppi, esco dai gruppi che non mi sono necessari e da quelli dove il flusso è esagerato… non vi dico il senso di liberazione al momento di cliccare “abbandona gruppo”! Ho tolto le notifiche dallo schermo. Ho riscoperto la bellezza delle telefonate. Rimango una fautrice della carta, per agenda, articoli, riviste, libri… Monitoro il mio tempo di utilizzo e punto ad usarlo il meno possibile. Quando sono in compagnia evito il più possibile di usarlo, anzi lo lascio proprio in borsa. Quando sono in giro, in vacanza piuttosto che agli eventi di vita dei figli, mi godo paesaggi e persone senza schermi a farmi da filtro o storie da pubblicare. Quando vado a riposare disattivo la suoneria. L’impegno fondamentale è quello di prenderlo in mano quando mi serve e non per controllare i messaggi ricevuti, chi ha bisogno di contattarmi con urgenza sa che mi deve chiamare perchè potrei visualizzare un messaggio Whatsapp dopo molte ore.
Tutto il mio discorso si sta focalizzando sullo smartphone anzichè su altri strumenti digitali perchè è quello che sento più invasivo per il fatto che è sempre e ovunque con noi. La mia sensazione è quella di scegliere di accendere il computer e sedermici davanti, mentre lo smartphone vorrebbe la mia attenzione continua a dispetto di luoghi e orari. Quando ho finito di usare il computer lo spengo, non altrettanto lo smartphone.
Desidero aprire un’ultima parentesi: uno dei motivi principali con il quale l’adulto giustifica un uso importante del telefono è il lavoro. Siamo così sicuri che sia un bene essere raggiunti da necessità lavorative in qualsiasi orario in qualsiasi giorno? Ho lavorato come educatrice di comunità presso due servizi dal 1997 al 2004, senza le chat. Lavoravamo bene, e stavamo bene nel poter staccare a casa da un lavoro che già assorbiva molto i nostri pensieri e spesso condizionava anche le nostre emozioni.
A quale scopo intraprendere questo percorso di autoeducazione digitale? Per i nostri figli e per noi stessi. Chi lo sta facendo dice che sta bene, ha più tempo a disposizione, si sente più libera, vive meglio il presente e le relazioni.
Forse non cambieremo il mondo, ma possiamo essere la polvere negli ingranaggi.


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